Terrifik rivista
Era il 1992. Avevo sedici, forse diciassette anni, e frequentavo l’Istituto d’Arte. In quegli anni la mia fame di fumetti era insaziabile: divoravo ogni uscita che strizzasse l’occhio all’horror, seguendo l’onda lunga del successo di Dylan Dog, allora al suo apice.
Oltre agli albi monografici, amavo in modo particolare le riviste antologiche: contenitori di stili e segni differenti, vere e proprie officine grafiche da cui imparare. Bastava un numero per conoscere più autori, senza dover rincorrere singoli volumi. E le storie brevi, da sempre, esercitavano su di me un fascino particolare.
Fu così che, passeggiando in edicola, scorsi una nuova testata dal titolo insolito: Terrifik. La “k” finale, così in voga negli anni Settanta dopo il successo di Diabolik, accompagnava una copertina d’impatto, dominata da un teschio mummificato. Per un ragazzo della mia età, fu amore a prima vista.
Sfogliando le pagine, i nomi in rubrica non lasciavano dubbi: Abulí, Bernet, Ariel, Bea, Del Castillo, Giménez, Ortiz. Nessun italiano: tutti autori provenienti dalla scuola argentina e spagnola, già sinonimo di qualità. In copertina campeggiava persino il nome di Torpedo, garanzia assoluta di grande fumetto, che in quegli anni seguivo con passione.
A pubblicarla era la Cenisio Editore, realtà che conoscevo soprattutto per le uscite storiche degli anni Sessanta – da Gatto Silvestro a Superman in versione pocket. Credevo fosse ormai scomparsa, e rimasi sorpreso nello scoprire che era ancora attiva. In realtà, Terrifik sarebbe stata la sua ultima pubblicazione.
La rivista si presentava in formato grande, 82 pagine a colori, con spazio generoso per godere appieno delle tavole. I generi di riferimento erano l’horror e il giallo. L’esperienza, però, fu breve: sei numeri in sei mesi, poi la chiusura definitiva, decretata da vendite non all’altezza e da problemi di diritti editoriali.
Ciononostante, Terrifik lasciò un’eredità preziosa: cicli completi di racconti, come La mummia di Del Castillo e lo straordinario L’occhio dell’Apocalisse disegnato dal grande Giménez. Proprio su questi contenuti sorsero alcune controversie: Torpedo era pubblicato da Edizioni Theoria, mentre i diritti erano detenuti da Acme; altri autori risultavano vincolati a Contratto con Comix Arte. Alcune storie, per questo, furono poi riproposte in volume unico.
Il primo numero aveva un indice ricchissimo: oltre a Torpedo e alle storie horror, ricordo con entusiasmo i lavori di Darko Pelosi, che mi colpì per il suo stile, e le pagine di humor nero di Coco e altri autori spagnoli. Non mancava neppure un curioso fumetto scritto da Bernardino Zapponi, noto sceneggiatore cinematografico, né le tavole pubblicitarie realizzate da Iaia, allora più conosciuto come visual designer.
Era un horror diverso da quello di Dylan Dog o dello Splatter: meno sangue e teste mozzate, più tensione psicologica, riflesso di un gusto che affondava le radici tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta. Ma la qualità dei disegni, firmati da veri maestri, bastava da sola a giustificare l’acquisto.
Sul retro delle copertine comparivano curiosamente pubblicità delle riviste di Milo Manara edite da Totem Comics: forse una sorta di sinergia editoriale, anche se resta solo un’ipotesi.
Oggi, a distanza di decenni, Terrifik resta per me una pubblicazione simbolica. Accanto a Dylan Dog, Splatter e ad altre riviste dell’epoca, contribuì a rendere quegli anni irripetibili. Guardando le edicole di oggi, non posso fare a meno di notare come quel fermento creativo e quella voglia di sperimentare si siano perduti.