Chi mi conosce sa bene quanto ami Dino Buzzati, autore capace di intrecciare malinconia e surrealtà come pochi. Non a caso Tiziano Sclavi, con la sua poetica narrativa, deve molto al maestro bellunese. Buzzati non fu soltanto scrittore e giornalista, ma anche pittore e illustratore, e nel 1969 offrì al fumetto il suo contributo più sorprendente con il Poema a fumetti, pubblicato da Mondadori.
Il libro, ancora oggi dirompente e unico nel panorama letterario italiano, fonde poesia, pittura e narrazione sequenziale, trasformando il mito di Orfeo ed Euridice in una vicenda ambientata nella Milano degli anni Sessanta. Il protagonista, Orfi, giovane artista e musicista, non si rassegna alla morte della sua amata Eura e scende nell’Aldilà per ritrovarla. L’inferno che Buzzati raffigura non è fatto di fiamme, ma di insegne al neon, automobili e night club: un oltretomba moderno, specchio della società dei consumi.
Il viaggio di Orfi è eroico e illusorio al tempo stesso. Nonostante la sua ribellione, deve accettare l’ineluttabilità della morte. Eppure, nel fallimento, Buzzati trasforma la sconfitta in poesia, offrendo un’opera che riflette sulla vita e sull’amore senza mai indulgere a facili consolazioni. Alla sua uscita il libro fu accolto con diffidenza, ma oggi è considerato un’anticipazione del graphic novel e una dimostrazione di come il fumetto possa appartenere alla grande letteratura.
La prima edizione Mondadori del 1969, di formato più grande rispetto alle ristampe successive, ha oggi un valore che oscilla tra i 50 e i 150 euro, a seconda delle condizioni. Seguirono altre edizioni ridotte nella collana Oscar. Vale la pena ricordare un dettaglio curioso: Mondadori inizialmente non voleva pubblicarlo, ma Buzzati insistette con forza, sostenendo che anche il fumetto fosse una forma d’arte degna di rispetto. Dalla sua produzione pittorica emerge inoltre il “Baobab”, creatura che anni dopo sarebbe stata omaggiata in un episodio di Dylan Dog con le stesse sembianze dipinte dal maestro.