"Che bella razza i perdenti che non si arrendono mai..."
Così cantava Renato Zero nella struggente I Perdenti. E davvero, chi sono se non perdenti, coloro che popolano il microcosmo umano raccontato da José Muñoz e Carlos Sampayo nei due volumi Nel bar, pubblicati da Coconino Press nel 2001? Anime perse, solitarie, marginali, ma mai domate. Uomini e donne che non hanno più nulla da vincere, ma non per questo hanno smesso di esistere e resistere.
Il bar che fa da sfondo a queste storie non è solo un luogo fisico, ma una zona franca dell’esistenza, una sala d’aspetto dell’anima. È il bar di Joe, lo stesso frequentato da Alack Sinner, il loro personaggio più celebre, investigatore disilluso che ha infranto le regole del giallo classico per diventare simbolo di un noir sociale e introspettivo. Ma in Nel bar, Muñoz e Sampayo scelgono di metterlo da parte — anche se ogni tanto lo si intravede sullo sfondo — per lasciar parlare altre voci, più anonime ma non meno intense.
I due volumi raccolgono dieci storie brevi ambientate in una New York stilizzata e crepuscolare, fatta di luci al neon, fumo, pioggia e silenzi. Una città che potrebbe essere anche Buenos Aires o una Milano notturna degli anni ’70. Il bar, microcosmo umano e crocevia esistenziale, accoglie sconfitti e reduci, uomini soli e donne segnate, vite spezzate che si raccontano senza giudizio, tra un bicchiere e una sigaretta.
Il segno graffiante e visionario di José Muñoz è la vera colonna sonora visiva dell’opera. Il suo bianco e nero non è semplicemente cromatico: è musicale, jazzato, profondamente espressivo. Le sue vignette pulsano di ritmo e tensione emotiva, scolpiscono volti deformati dalla vita, mani ossute, corpi stanchi. C’è Goya, c’è Bacon, ma c’è anche Hugo Pratt in quelle inquadrature sghembe e in quei silenzi pieni di senso.
Carlos Sampayo, come sempre, costruisce testi scarnificati, diretti, carichi di umanità e disillusione. La sua scrittura sembra improvvisata, come un sax notturno che sputa fuori note dolci e stridenti. Non racconta trame complesse: racconta esistenze. E lo fa con una voce unica, che mescola poesia urbana, cinismo e compassione.
Una delle curiosità più affascinanti legate a Nel bar è che molte delle storie erano state originariamente pubblicate in riviste e antologie europee tra la fine degli anni ’80 e i ’90, e solo successivamente raccolte in volume. La scelta di Coconino Press di dividerle in due uscite, con copertine nere minimali (senza immagini, solo titoli e nomi), fu un gesto controcorrente: in un periodo in cui le librerie iniziavano a riempirsi di manga patinati e ristampe Marvel, questa era una dichiarazione d’intenti chiara. Nessuna concessione al mercato, solo la nuda forza del racconto.
Il sottotesto è sociale, politico, ma mai ideologico. Racconta le derive del capitalismo, della solitudine urbana, del razzismo, dell’alienazione. Racconta la fine dei sogni e il risveglio in un’epoca spietata. Ma lo fa senza proclami. Tutto passa dagli sguardi, dai gesti, dai silenzi.
Oggi quelle figure che una volta si incontravano nei bar — i cialtroni, i pugili falliti, le donne disilluse, i vecchi amici senza più nulla da dirsi — sono migrati nei social network. Li troviamo dietro profili lucidati, tra foto di muscoli di gioventù e orologi d’oro al polso. Ma sono sempre loro: persone sole, tristi, spesso invisibili.
Nel bar resta un'opera essenziale non solo per chi ama il fumetto d'autore, ma per chi cerca nel racconto illustrato qualcosa che vada oltre l’intrattenimento. È letteratura disegnata, è teatro urbano, è jazz su carta.
La prima edizione italiana di questi due volumi, pubblicata da Coconino Press nel 2001, è oggi ricercata dai collezionisti. Nel tempo, Coconino ha anche pubblicato un volume unico che raccoglie entrambe le raccolte, restituendo al lettore contemporaneo l’occasione di riscoprire un classico moderno, ancora oggi più che mai attuale.
E forse, come scrivevi tu, non serve essere lettori abituali di fumetti per apprezzare Nel bar.

