"Hotel Harbour View": il noir dimenticato di Taniguchi nell’edizione Play Press del 1992
Nel 1992, mentre il manga in Italia era ancora legato ai cliché dei cartoni animati per ragazzi e i fumetti giapponesi si chiamavano semplicemente “fumetti giapponesi”, la romana Play Press pubblicava un albo destinato a rimanere nella memoria di pochi lettori attenti: "Hotel Harbour View", firmato da Jirō Taniguchi ai disegni e Natsuo Sekikawa ai testi. Un'opera noir elegante, cupa, sorprendentemente matura per il panorama editoriale dell'epoca.
Lo ricordo bene. Ero un giovane studente dell’Istituto d’Arte, affamato di storie nuove, che si aggirava tra le edicole in cerca di qualcosa di diverso da Dylan Dog o Splatter. Quel giorno, mi cadde l’occhio su un albo dallo strano titolo inglese: Hotel Harbour View. La copertina, patinata, mostrava una donna in reggicalze, armata, affacciata a una finestra con vista su una città asiatica che, a giudicare dalle insegne, sembrava Taiwan. Ma, nonostante la mia età ormonale, non fu l’erotismo della scena a colpirmi, bensì lo sguardo malinconico di quella donna. C’era qualcosa di sospeso, di tragico, che mi parlava direttamente.
Il prezzo era alto per uno studente: 7.000 lire, l’equivalente di diversi biglietti del tram mai acquistati. Ma qualcosa mi disse di prenderlo in mano, di sfogliarlo. Ricordo ancora la sensazione della carta: patinata, spessa, di ottima qualità. Il nero delle tavole stampato con cura quasi maniacale. L’autore? Un certo Jiro Taniguchi. Giapponese, sì, ma nulla a che vedere con gli occhi enormi alla "Creamy". I volti erano realistici, segnati, le espressioni trattenute, mature. Nessuna linea cinetica, nessun robot. Solo uomini e donne intrappolati nei loro destini, in silenzi pieni di significato.
In quegli stessi anni sarebbe uscita la rivista Zero di Granata Press, che avrebbe portato in edicola Kenshiro, Lamu, Patlabor. Ma questo era qualcosa di diverso: un noir esistenziale, dove eros e thanatos si rincorrevano tra stanze d’albergo, fumi di sigarette e corridoi bui. Lo comprai. E in quel giorno scoprii due cose: il genere noir e Jirō Taniguchi, che in Italia ancora nessuno conosceva.
Con il tempo Taniguchi sarebbe diventato un nome di culto. Le sue opere sarebbero state pubblicate da Coconino Press, da Rizzoli Lizard, da Panini. Gli avrebbero dedicato collane allegato ai quotidiani, articoli osannanti su riviste e giornali. Sarebbe stato ribattezzato “il più europeo tra gli autori giapponesi”, e i suoi manga avrebbero iniziato a essere chiamati “graphic novel”, termine che negli anni ’90 ancora faceva storcere il naso.
Eppure, nel 1992, Hotel Harbour View passò quasi inosservato. Vendette poco, rimase un oggetto per pochi. Ma proprio per questo, oggi, quella edizione Play Press è un piccolo tesoro: non solo per la rarità collezionistica, ma per il valore storico e artistico.
Il volume contiene due racconti: "Hotel Harbour View", malinconico e crudele ritratto di solitudine e vendetta, e "Fugaci incontri", storia che amplifica il senso di smarrimento e di destino inevitabile. Il tutto raccolto in un albo brossurato di 64 pagine, stampato con qualità superiore rispetto allo standard dell’epoca.
Anni dopo, Panini avrebbe pubblicato l’edizione completa, comprensiva di ulteriori racconti, in un volume brossurato. Ma, vuoi per il formato ridotto, vuoi per la carta opaca, non riuscì mai a restituire l’impatto visivo e la pulizia formale dell’edizione originale Play Press. Quel piccolo albo del ’92, a suo modo, fu un precursore di tutto ciò che oggi chiamiamo Graphic Novel. Un’opera che unisce l'eleganza del disegno alla profondità emotiva, con personaggi che restano sospesi tra vita e morte, tra amore e solitudine.
Oggi si può ancora trovare, con un po’ di fortuna, su eBay anche a tre euro. Un prezzo ridicolo per un albo che, trent’anni fa, sembrava troppo caro per un ragazzino, e che oggi si rivela uno dei tasselli fondativi della nostra educazione al fumetto d'autore.
Non è solo un fumetto noir. È il primo incontro con Taniguchi. E come tutti i primi incontri importanti, non si dimentica.